24 Febbraio 2009 www.governo.it
1. Il G8 si riunisce nel 2009 sotto la presidenza italiana. Per la terza volta dal 1994 lei sarà il Presidente. Quali le sue priorità e come intende condurre il mandato?
Lei vuole proprio ricordarmi che sono invecchiato... È vero, presiedo il G8 per la terza volta, nessuno prima di me lo ha fatto. Mitterrand e Kohl ne hanno presieduti due. È una grande responsabilità, perché il mondo attraversa una fase difficile e piena di incognite. Non mi riferisco solo alla crisi finanziaria globale, ma anche alle relazioni con la Federazione Russa, al conflitto israelo-palestinese, alla stabilizzazione di Afghanistan e Iraq, all’escalation nucleare dell’Iran, alla crisi del Darfour, e ancora alla fame, alla povertà e al cambiamento climatico, che mettono in pericolo il conseguimento degli Obiettivi del Millennio. Non si può indicare una priorità, ve ne sono diverse: dalle regole per la governance globale dell’economia a una nuova architettura delle istituzioni finanziarie internazionali, dalla mediazione tra i leader sui temi ambientali prima del summit 2009 sul clima a Copenhagen, a un concetto di sviluppo che comprenda più attori e più strumenti. Tutto questo richiede un ripensamento della natura e struttura del G8. Un aspetto che potrebbe apparire formale, ma non lo è.
2. Intende che cambierà il formato del G8, e che il G7-G8 precederà il G20? Cosa si aspetta? Perché vuole allargare il G8?
L’Italia vuole che il G8 sia sempre più rappresentativo ed efficace. Per essere rappresentativo in un mondo che cambia con la rapidità di oggi, deve essere inclusivo, deve aprirsi alle economie emergenti e dialogare con la parte di pianeta più povera. L’Italia non vuole la fine del G8, non vuole il suo scioglimento. Al contrario, vuole un G8 più forte e più concreto. Noi proponiamo una più stabile e strutturata associazione al G8 dei Paesi del G5 (Cina, India, Brasile, Messico e Sud Africa) oltre all’Egitto, in rappresentanza del mondo arabo, musulmano e africano. È cruciale il confronto su temi specifici con singoli gruppi di Paesi, per esempio quelli africani, secondo il principio delle “geometrie variabili”. Non è questione di nomi o formule vuote, ma di governance internazionale, di democrazia. Non sarà facile organizzare un G8 con queste ambizioni, ma sono sicuro che ci riusciremo.
3. Barack Obama ha appena assunto le funzioni di Presidente degli Stati Uniti. In che modo apprezza questo leader rispetto a George W. Bush, di cui era amico intimo, e cosa si aspetta da lui?
Non è possibile fare un paragone tra ciò che è stato e ciò che sarà. Non tocca a me giudicare la presidenza di George W. Bush, sarà la storia a farlo. Per me è stato, ed è, un amico, un uomo che stimo. Si è trovato a guidare la nazione americana in uno dei momenti più tragici della sua esistenza, a fronteggiare l’11 Settembre, cioè il primo attacco militare sul territorio degli Stati Uniti dai tempi di Pearl Harbour. Con me è stato leale, il suo sì era un sì, il suo no un no. Ma dietro l’amicizia c’era la solida alleanza tra Italia e Stati Uniti, tra i nostri due popoli. È su questa base che si sta cominciando a costruire un rapporto di stima, fiducia e collaborazione tra me e Barack Obama. Nei primi contatti che ho avuto con Obama, ho capito che ci legano tratti comuni. È un leader concreto e positivo, che si prepara a fondo sulle questioni, che conosce molto bene i dossier della politica internazionale, e con il quale si ragiona. Ci lega pure l’“audacia della speranza”. Un tratto necessario nei momenti di crisi. Obama sta dando fiducia agli americani e al mondo con quello che ha cominciato a fare coi suoi primi atti e col suo atteggiamento verso la Federazione Russa e il mondo islamico.
4. Bisogna discutere con Hamas? Hamas è davvero la sola responsabile dell’attuale situazione? Come giudica il comportamento di Israele?
Hamas non può essere un interlocutore. Escludo che si possa dialogare con un’organizzazione che proprio la presidenza italiana dell’Unione Europea, nel 2003, ha ottenuto di inserire nella lista delle organizzazioni terroristiche. Come si può negoziare con quanti ancora oggi vorrebbero vedere Israele cancellato dalle cartine geografiche? Il primo passo di qualsiasi interlocuzione è il riconoscimento del diritto a esistere dell’avversario. Nessun Paese e nessuna democrazia avrebbero tollerato uno stillicidio di razzi lanciati sulla propria gente. Certo, nelle azioni difensive l’impiego della forza dev’essere proporzionato all’offesa. Ma sono convinto che le stesse autorità israeliane sappiano quanto sia sbagliato un uso eccessivo della forza con centinaia di vittime tra i civili. La tregua deve stabilizzarsi in un percorso negoziale. Dobbiamo tutti guardare avanti e lavorare in concreto per la pace.
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