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27 aprile 2011

La nostra guerra

Questa nostra guerra comincia da lontano.
Comincia con un fotografo che si apposta fuori da villa Certosa, e scatta quelle foto che poi vedremo tranquillamente sulla stampa estiva dei giornali di mezzo mondo, i giornali senza burqua, intendo.
E poi dove va, questo fotografo, a vendere il suo mazzetto completo di foto illegali?
Va nel paese che sbatte al vento le tette di tutta "la gente che conta".
E' lo stesso El Paìs, che mentre in altre pagine estive pubblica compiaciuto e plaudente le foto della compagna Parietti sulle proprie spiagge, di colpo, girando pagina, riprende la veste del Torquemada che in Spagna, nella Cattolicissima Spagna, non è mai morto.
E incastra il nostro Premier.
Chi glie l'ha fatto fare?
C'è bisogno di chiederlo?
Una sua iniziativa o la punta di un gioco al massacro a cui è stato invitato dai quattro maiali di casa nostra che non sanno più architettarne di altre?
Il fotografo vende le sue foto, ovvero "le esporta", alla faccia della privcy con cui LETTERALMENTE ci strapazzano i coglioni TUTTI I SANTI GIORNI, sotto gli occhi del solito drappello di magistrati che su questo traffico NATURALMENTE non hanno nulla da dire, se non gongolare sotto sotto, e il gioco al massacro inizia.
Vi risparmio le altre puntate, le conoscete già, le foto del G8 coi terremotati che, alla lettera, mostrano il culo fuori dalle tende dei centri sociali, le pagine acquistate da Di Pietro sulla stampa estera per propagare le sue invenzioni, pagando con soldi presi da noi.
Tutte le innumerevoli iniziative di sputtanamento di ciò che non si ha la forza di contrastare sul piano politico.
Roba vecchia, lo so, ma tutto ha fatto brodo, anzi liquame, per portare l'Italia a valere un due di picche sul piano internazionale.
Il mondo ride di noi, come dice Bersani.
No, non ride di Marrazzo, dei suoi morti irrisolti e della coca, non ride delle notti bianche di Vendola mentre la gente scappa dai suoi ospedali, non ride sulle spudorate domande in Parlamento della Finocchiaro mentre a casa sua stanno indagando proprio la sua famiglia.
Le case all'Aquila coi sollevatori idraulici non sono mai esistite, non è vero che Napoli sia un gioco continuo tra chi sporca e chi ripulisce.
Non è vero che in Campania brucino i camion della nettezza urbana.
Un gioco alla distruzione che ora ha dato i suoi frutti.
E' per questo che vorrei dire a Berlusconi, NO, non credergli, non sarà mai che impegnandoci in mezzo, questi sciacalli coltivati all'estero, coi soldi e la stampa nostra, ci mollino in cambio qualcosa levandoci il disturbo degli sfollati.
E' un'ultima carta, ma non stiamo giocando una partita regolare.
Con questa gente, che segue la propria politica, senza che nessuno in casa propria li seghi fa parte di un altro mondo.
Noi abbiamo in casa la peste, noi abbiamo questi irresonsabili che ci hanno macinato per anni e ora sono all'apice.
Senza pudore. Sappiamo tutto di Ruby, non sappiamo nulla di chi ci fanno entrare e disperdere in tutta Italia.
E cosa dovrebbe fare Maroni?
Impuntarsi con la Magistratura perché apra cartelle per identificare e distinguere da quali carceri estere provengono i falsi immigrati?
No. Finirebbe al rogo.
Finirebbe al rogo con l'applauso di questa merda di intellighenzia che ha applaudito e fatto scappare gli incendiari del rogo di Primavalle.
Il cancro è dentro di noi. A tenaglia.
Dalla plebe beota vestita di viola ai vari registri e scrittori assetati di sovvenzioni e fondi europei.
Dai drappelli di toghe ansiose di visibilità e potere.
No Berlusconi, il bene del paese tramite questo scambio CHE NON PUO' ESSERE ALLA PARI NON PASSA DI QUI.
Non passa con grappoli di bombe sulla testa di tribù di baluba che si scannano con armi occidentali.
La Lega dice no, non vuole farlo e non può farlo sul piano umano.
Noi anche, non vogliamo farlo sul piano umano, e neanche ci conviene farlo sul piano del cinismo adoprato per il bene del paese.
Non si gioca a un tavolo dove i giocatori e i padroni del casinò sono dei semplici bari, dopo aver preso i soldi ci contesterebbero anche di usare false fiches.


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