è morto Jannacci, l'altra sera. Ora che tutti velocissimi hanno dato il loro contributo al ricordo, ed quindi ora che è finito tutto davvero, mi vien più facile ricordarmi di lui. Che poi vuol dire ricordarmi di una tv in bianco e nero, di me piccino che quasi piangevo a sentirlo, e di un paio di scarpe sportive che allora portare non era il massimo, era il minimo, perché le scarpe dovevano essere scarpe vere, per tenersi asciutti, per camminare protetti sia su terra riurbanizzata che su strade ancora sconnesse dalla povertà della guerra. Mi ero quasi commmoso, un po' come per il Gino del bar, anche lui di un Gaber in bianco e nero in TV. E i jeans del Gino, mi immaginavo anche, vedendo i più grandi che, come il Gino, se ne stavano nei bar e fuori, sulle lambrette, coi primi jeans. Però il mio ricordo si fema qui. Mi piaceva quel modo di vedere e raccontare il mondo dal basso. Poi più tardi, io lo ammetto, son molto fatto male e intransigente, cominciarono a raccontarlo dall'alto, però, perché non sembrasse proprio alto alto, cominciarono a usare le parabole, e il buono, e il cattivo, e il popolo, e la rivoluzione e tante cose che dette così, a lezione, non mi interessavano più. E mi girai dall'altra parte, continuavo a guardare il bar del Gino e un paio di scarpe da tennis.
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