Racconto breve, a tesi, in 3 puntate
La chiatta affondò beccheggiando fin quasi all'altezza dei parapetti, mentre il portellone anteriore si abbatteva con fracasso sull'arenile.
Le due altane di prua, coperte da piastre d'acciaio, parevano due torri fortificate messe lì a sorreggere un ponte levatoio, senonché, al posto delle catene scorrevoli, ad abbassare il portellone erano stati i pistoni di due enormi pompe idrauliche.
Sulle due altane erano fissate due garrite circolari con 3 mitragliatrici ciascuna. In tutto 6 bocche da fuoco che aperte a ventaglio controllavano l'orizzonte interrotto solo dalla piccola spiaggia di sabbia bianca a cui era approdata la Risacca 2, chiatta armata di seconda classe di 40 piedi di lunghezza, dal nome italiano ma in forze alla marina statunitense.
Il sole era appena scomparso dietro l'innalzamento roccioso che rendevano la piccola isola simile a un enorme cappello da cowboy color crema.
Sui registri dell'esercito quel piccolo mondo sospeso tra il cielo e l'oceano era chiamato L'isola che non c'è 35, ma tutti, indifferentemente, soldati e reclusi, la chiamavano semplicemente BB, bitchbeach, in italiano spiaggia puttana, come tutte le sue altre isole gemelle sparse per i mari del mondo.
Isola che non c'è, in effetti, era un nome appropriato, dal momento che non era affatto una vera isola, ma un artefatto della tecnologia della seconda metà del ventunesimo secolo.
Queste terre artificiali erano uno strano genere di piattaforme d'alto mare, composte da lunghe sezioni tubolari d'acciaio cavo, accoppiate in modo da formare enormi zattere ricoperte di autentica sabbia stesa sulla superficie affiorante dal pelo dell'acqua.
Se a prima vista non vi sareste accorti dell'inganno, camminandoci, avreste notato una stranezza. Nessuna impronta sarebbe rimasta sul suolo compatto, come se i vostri piedi si fossero appoggiati senza sprofondare sul rigido supporto di un enorme foglio di carta vetrata a cui i piccoli granuli sabbiosi risultavano tenacemente incollati.
La sabbia morbida, stesa a dune libere, cominciava più avanti, a una quarantina di metri dalla linea d'acqua, assieme ai blocchi di roccia che vi affondavano e rendevano montagnoso l'entroterra, alzandosi per qualche decina di metri e nascondendo l'altro lato dell'isola. In questo modo la piccola differenza di colore tra le due superfici sabbiose, e la compattezza della rena in prossimità dell'acqua, sembravano dovute all'opera delle onde e all'umidità lasciata dalla risacca, piuttosto che alla mano dell'uomo.
Un pulmino bianco, sormontato dalle barre di un enorme portabagagli e con agganciato un piccolo rimorchio a due ruote, sbucò da un canalone roccioso, distante un centinaio di metri, dirigendosi verso la chiatta. Il pulmino era privo di portiere. All'interno due figure. Una femminile, in piedi, abbronzata, con un pareo azzurro, e un'altra, maschile, al posto di guida. Chiunque, guardando l'uomo, si sarebbe figurato lo spuntare della lista degli arrivi dall'unica tasca dei bermuda rossi indossati per l'occasione sopra il costume. Se non fosse stato per l'assoluta mancanza di vegetazione tutt'attorno, si sarebbe detto che da un vicino villaggio di tucul e pergolati una coppia di animatori fosse stato inviata a prelevare i nuovi ospiti.
Sulla chiatta un muletto meccanico che era stato parcheggiato a prua si fece avanti. Prelevandoli da due file lungo le murate, iniziò a sollevare uno per volta i piccoli container di allumino, trasferendoli poi sull'arenile.
Intanto, riparandosi gli occhi dalla improvvisa luce rossa del tramonto, dieci prigionieri in processione emergevano dalla stiva ricavata sotto il ponte della chiatta, incuriositi e intorpiditi nei movimenti. Tutti in calzoncini e T-shirt bianche. Vistosamente fuori peso, rossi e accaldati per lo sforzo, due coniugi ostinati nel tenersi per mano faticavano a issarsi sulla scaletta.
Le guardie, che avevano preso ad ammiccare tra loro, fecero una battuta sottovoce e scoppiarono a ridere forte alla vista di altri tre prigionieri che saltellavano sulle bollenti piastre in acciaio dell'impiantito, cercando di rinfilarsi in fretta i mocassini di tela bianca e di corda che si erano tolti sottocoperta durante il viaggio.
ps: @pinky, mi è tornata voglia di scarabocchiare. Questo c'è l'ho in mente già tutto... e ci ho già messo parecchi indizi sul come va a finire eheh, però potrebbe anche diventare un cross-over del racconto interrotto =)). Scherzo, ma "Il racconto" quando lo riprendiamo?
[ da qui vai alla seconda puntata ]
La chiatta affondò beccheggiando fin quasi all'altezza dei parapetti, mentre il portellone anteriore si abbatteva con fracasso sull'arenile.
Le due altane di prua, coperte da piastre d'acciaio, parevano due torri fortificate messe lì a sorreggere un ponte levatoio, senonché, al posto delle catene scorrevoli, ad abbassare il portellone erano stati i pistoni di due enormi pompe idrauliche.
Sulle due altane erano fissate due garrite circolari con 3 mitragliatrici ciascuna. In tutto 6 bocche da fuoco che aperte a ventaglio controllavano l'orizzonte interrotto solo dalla piccola spiaggia di sabbia bianca a cui era approdata la Risacca 2, chiatta armata di seconda classe di 40 piedi di lunghezza, dal nome italiano ma in forze alla marina statunitense.
Il sole era appena scomparso dietro l'innalzamento roccioso che rendevano la piccola isola simile a un enorme cappello da cowboy color crema.
Sui registri dell'esercito quel piccolo mondo sospeso tra il cielo e l'oceano era chiamato L'isola che non c'è 35, ma tutti, indifferentemente, soldati e reclusi, la chiamavano semplicemente BB, bitchbeach, in italiano spiaggia puttana, come tutte le sue altre isole gemelle sparse per i mari del mondo.
Isola che non c'è, in effetti, era un nome appropriato, dal momento che non era affatto una vera isola, ma un artefatto della tecnologia della seconda metà del ventunesimo secolo.
Queste terre artificiali erano uno strano genere di piattaforme d'alto mare, composte da lunghe sezioni tubolari d'acciaio cavo, accoppiate in modo da formare enormi zattere ricoperte di autentica sabbia stesa sulla superficie affiorante dal pelo dell'acqua.
Se a prima vista non vi sareste accorti dell'inganno, camminandoci, avreste notato una stranezza. Nessuna impronta sarebbe rimasta sul suolo compatto, come se i vostri piedi si fossero appoggiati senza sprofondare sul rigido supporto di un enorme foglio di carta vetrata a cui i piccoli granuli sabbiosi risultavano tenacemente incollati.
La sabbia morbida, stesa a dune libere, cominciava più avanti, a una quarantina di metri dalla linea d'acqua, assieme ai blocchi di roccia che vi affondavano e rendevano montagnoso l'entroterra, alzandosi per qualche decina di metri e nascondendo l'altro lato dell'isola. In questo modo la piccola differenza di colore tra le due superfici sabbiose, e la compattezza della rena in prossimità dell'acqua, sembravano dovute all'opera delle onde e all'umidità lasciata dalla risacca, piuttosto che alla mano dell'uomo.
Un pulmino bianco, sormontato dalle barre di un enorme portabagagli e con agganciato un piccolo rimorchio a due ruote, sbucò da un canalone roccioso, distante un centinaio di metri, dirigendosi verso la chiatta. Il pulmino era privo di portiere. All'interno due figure. Una femminile, in piedi, abbronzata, con un pareo azzurro, e un'altra, maschile, al posto di guida. Chiunque, guardando l'uomo, si sarebbe figurato lo spuntare della lista degli arrivi dall'unica tasca dei bermuda rossi indossati per l'occasione sopra il costume. Se non fosse stato per l'assoluta mancanza di vegetazione tutt'attorno, si sarebbe detto che da un vicino villaggio di tucul e pergolati una coppia di animatori fosse stato inviata a prelevare i nuovi ospiti.
Sulla chiatta un muletto meccanico che era stato parcheggiato a prua si fece avanti. Prelevandoli da due file lungo le murate, iniziò a sollevare uno per volta i piccoli container di allumino, trasferendoli poi sull'arenile.
Intanto, riparandosi gli occhi dalla improvvisa luce rossa del tramonto, dieci prigionieri in processione emergevano dalla stiva ricavata sotto il ponte della chiatta, incuriositi e intorpiditi nei movimenti. Tutti in calzoncini e T-shirt bianche. Vistosamente fuori peso, rossi e accaldati per lo sforzo, due coniugi ostinati nel tenersi per mano faticavano a issarsi sulla scaletta.
Le guardie, che avevano preso ad ammiccare tra loro, fecero una battuta sottovoce e scoppiarono a ridere forte alla vista di altri tre prigionieri che saltellavano sulle bollenti piastre in acciaio dell'impiantito, cercando di rinfilarsi in fretta i mocassini di tela bianca e di corda che si erano tolti sottocoperta durante il viaggio.
ps: @pinky, mi è tornata voglia di scarabocchiare. Questo c'è l'ho in mente già tutto... e ci ho già messo parecchi indizi sul come va a finire eheh, però potrebbe anche diventare un cross-over del racconto interrotto =)). Scherzo, ma "Il racconto" quando lo riprendiamo?
[ da qui vai alla seconda puntata ]
in effetti con le ultime puntate si è complicato molto anche perchè mi hai fatto diventare protagonista dei fatti pregressi che avevo usato come sfondo =))
mo' le castagne dal fuoco me le dovresti levare tu, al massimo facciamo come nelle storie di Superman, dove le pagine più strane poi si scopre che erano solo sogni :p
no no no mi rifiuto :))
cmq ricominciare sarebbe facile...
diciamo, è passato un anno e mezzo, in questo lasso di tempo i vari Marchi e le varie Carle hanno fatto così e così, e rimettiamo ordine in tutto con una sola puntata :d
Il racconto interrotto ? Dovrei rileggerlo anch'io a sto punto ma prima o poi ripartiamo... solo che le ultime parti che ho scritto io nn piacciono neanche a me... ma sono gli incerti dell'esperimento ahahahah
Ciau Bro.... sei un CANNONE... ;)