Sono pagine di illustrazione, ingenuamente discorsiva, di come vorrebbe vincolare la mobilità sul territorio un visitatore occasionale. Questo osservatore, armato semplicemente di buon senso, vorrebbe trasformarla a prescindere dalle motivazioni che ne hanno determinato limiti e pregi strutturali, senza però indagare le complesse relazioni tra diverse componenti.
Queste componenti, già nell'introduzione, andrebbero suddivise su almeno due fronti di servizio, che un piano di mobilità è tenuto a soddisfare nei termini urbanistici che per definizione l'amministrazione è chiamata a normare.
Sono componenti, o fronti di servizio al cittadino, equivalenti per diritti ed opportunità, o comunque sono da considerarsi rilevanti nella stessa misura.
Il primo fronte di servizio si deve rifare a un modello di distribuzione delle risorse, umane e materiali. E' di tipo meramente funzionale (mobilità originata da commercio, industria, attività lavorative di costruzione e manutenzione in genere).
Il secondo fronte di servizio, da indagare su un piano meno percettibile ma culturalmente significativo, deve seguire i bisogni civici dovuti all'appetibilità di méte che risultano più ambite di altre, e chiedono un impianto di mobilità che segua i bisogni più diversi, disegnandone l'infrastruttura occorrente (eventi, attività culturali e sportive, interazione tra tra le componenti sociali intese a tutto campo, dal gruppo significativo in termini numerici, al nucleo familiare, all'individuo singolo).
Va quindi analizzata, sul territorio, la rete topografica significativa di questi due fronti, che va rispettata, perché il piano di mobilità è chiamato a leggere la realtà esistente, per favorirne le prospettive di sviluppo, e non a disegnarle, compito che spetta al momento amministrativo di gestione del territorio.
Solo dopo questa operazione possiamo finalmente calare il fronte che si sovrappone a entrambi, ed è quello della mobilità assistita, di tipo pubblico, ai vari livelli di sharing e di mezzo collettivo su gomma, ferro, di superficie e in sottosuolo.
Queste, in termini molto succinti, sono a mio avviso le linee guida, ovvero, i binari del percorso che si dovrebbe affrontare se si intendesse davvero porre ordine e correggere le anomalie della mobilità sul territorio.
Senza queste linee, indispensabili a leggere la mobilità come frutto di realtà complesse, che non si possono scardinare partendo dal fondo e reinventando la ruota della bicicletta, capita di distruggere, o quanto meno penalizzare pesantemente, sia l'economia che le aspirazioni singole e collettive.
Senza un approccio metodologico di tipo professionale, leggiamo purtroppo documenti scadenti come quello comunale divulgato per il PUMS.
Sono documenti rappresentativi solo di generiche aspirazioni tese a modificare l'ultimo anello della catena, sbagliati quindi in termini metodologici, e rappresentativi solo di intenti ideologici, ribaltatici addosso a forza, per sopprimere una rete che dovrebbe stare al servizio di tutti.